Ne abbiamo già scritto in diverse occasioni data la grande portata della questione, ma negli ultimi anni, specialmente nelle città d'arte e nelle mete turistiche più gettonate, il tema degli affitti brevi è diventato un vero campo di battaglia.
Da una parte ci sono i proprietari e le piattaforme online (come Airbnb o Booking), che rivendicano il diritto alla libertà di locare i propri immobili.
Dall'altra ci sono i Comuni e i residenti, che lamentano reali problemi come l'enorme afflusso di turisti spesso maleducati, meno case disponibili per chi cerca di vivere stabilmente nelle città e prezzi degli affitti ordinari ormai alle stelle.
In questo clima già incandescente, è arrivata la sentenza 2829/2025 del Consiglio di Stato, che rischia di far saltare definitivamente il banco.
In parole semplici, i Comuni non possono bloccare o imporre restrizioni agli affitti brevi a meno che l’attività non venga svolta in forma imprenditoriale (come avviene per case vacanze o B&B veri e propri).
Se un proprietario affitta la propria casa per periodi limitati, senza organizzarsi come un’impresa, sta semplicemente esercitando il suo diritto di proprietà e la sua libertà contrattuale.
In particolare, i giudici hanno chiarito che:
• Non esiste una legge nazionale che permetta ai Comuni di regolamentare le locazioni brevi private.
• La semplice comunicazione di inizio attività (CIA) è sufficiente per avviare un affitto breve non imprenditoriale.
• Non serve la SCIA (Segnalazione certificata di inizio attività), che è obbligatoria solo per attività vere e proprie di tipo alberghiero o para-alberghiero.
• I Comuni non possono imporre obblighi, standard qualitativi o richiedere certificazioni che di fatto ostacolino la libertà dei proprietari.
• I proprietari di immobili possono quindi affittare a breve termine senza essere soggetti a vincoli comunali, a meno che non ci siano specifiche violazioni edilizie o di sicurezza.
La sentenza nasce dal ricorso di una proprietaria lombarda che si era vista mettere i bastoni tra le ruote dal suo Comune, che voleva obbligarla a rispettare standard da hotel (certificazioni, requisiti di qualità, ecc.) solo per affittare la propria casa ai turisti.
Il Consiglio di Stato ha dato ragione alla proprietaria: finché l’affitto breve non è gestito come un’impresa, il Comune non può intervenire.
In pratica d’ora in avanti, o quanto meno fino alla prossima puntata della querelle:
• I privati cittadini potranno continuare ad affittare i loro immobili per brevi periodi senza temere divieti o vincoli impositivi decisi localmente.
• I Comuni, se vogliono intervenire, potranno farlo solo quando l'attività assume una dimensione imprenditoriale (ad esempio più immobili affittati in modo organizzato e continuativo).
• Non si potranno più creare regolamenti che vietano o limitano gli affitti brevi solo perché "danno fastidio" o aumentano il turismo.
Sì, enorme.
I giudici hanno evidenziato che manca una legge nazionale chiara sulle locazioni turistiche brevi.
Questo vuoto crea tensioni. Da una parte la libertà dei proprietari, dall’altra il diritto dei cittadini a vivere in città che non diventino solo parchi giorchi per turisti.
Al momento la linea è chiara: libertà di affittare, almeno finché il Parlamento non deciderà di mettere mano alla questione con una normativa chiara e uniforme.
Nel frattempo saranno inevitabili nuove polemiche, con i Comuni furiosi e forse qualche ulteriore battaglia legale.
Perché, diciamocelo, il business degli affitti brevi è ormai troppo importante per essere ignorato e troppo complicato per essere lasciato alla libera interpretazione di singoli amministratori.
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